Il termine per richiedere il rimborso della maggiore accisa versata decorre dall’ultima dichiarazione

27 Maggio 2021

Abstract

La Commissione Tributaria Provinciale di Milano si è pronunciata in merito alla questione riguardante la decorrenza del termine biennale previsto dall’art. 14 del TUA per richiedere il rimborso dell’accisa versata in eccedenza, individuando il dies a quo nella data dell’ultima dichiarazione relativa all’anno di cessazione dell’attività in uno specifico ambito provinciale.

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1.         Il caso deciso dalla Commissione Tributaria Provinciale di Milano con la sentenza n. 1078/2021, depositata il 10 marzo scorso, trae origine dall’impugnazione di un diniego parziale opposto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a un’istanza di rimborso di maggiore accisa versata. La controversia appare di particolare interesse, in quanto affronta la tematica riguardante il momento della decorrenza del termine per la proposizione della richiesta di rimborso disciplinata dall’art. 14 del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (c.d. Testo Unico Accise – “TUA”).

Nel dettaglio, la questione affrontata dal Collegio milanese riguarda una società operante nella commercializzazione al dettaglio di gas naturale nell’ambito della provincia di Monza e Brianza. Avendo gradualmente ridotto i volumi di vendita a partire dall’anno 2016 fino a cessare del tutto l’attività, la ricorrente aveva maturato una eccedenza di versamento di imposta in forza del particolare meccanismo di liquidazione dell’imposta. Cessata l’attività, dunque, nel marzo 2019 aveva presentato istanza di rimborso delle maggiori accise versate rispetto a quello effettivamente dovute sulla base dei quantitativi di gas ceduti.

L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Milano 2 aveva, tuttavia, parzialmente negato il rimborso, ritenendo decorso il termine decadenziale di cui all’art. 14, co. 2, del TUA per una parte delle somme chieste in restituzione.

A mente di tale disposizione, infatti, “il rimborso deve essere richiesto, a pena di decadenza, entro due anni dalla data del pagamento ovvero dalla data in cui il relativo diritto può essere esercitato”. Secondo l’Amministrazione finanziaria, una parte del credito de quo risultava essere maturata già alla data del 21 marzo 2016, ragion per cui appariva tardiva l’istanza di rimborso inoltrata nel marzo 2019, ben oltre il termine biennale sopra richiamato.

Per meglio comprendere le ragioni addotte dai Giudici a sostegno della propria decisione, appare utile fare brevi cenni in merito al sistema di quantificazione e pagamento dell’imposta delineato dall’art. 26, co. 13, del TUA[1] (descrittivo delle modalità di versamento degli acconti su base mensile).

Il meccanismo dei versamenti di accisa sul gas naturale, sia pure a grandi linee, può essere riassunto come segue[2]:  

  • nel corso dell’anno, il contribuente effettua con periodicità mensile il versamento in acconto dell’accisa calcolata sui consumi medi di materia prima dichiarati per l’annualità precedente;
  • entro il 31 marzo dell’anno successivo il contribuente presenta la dichiarazione di consumo, in cui vengono esposti i consumi effettivamente sostenuti. In questa sede, pertanto, viene definitamente quantificata l’accisa dovuta, maturata non più sui consumi “storici”, bensì su quelli effettivi;
  • qualora, dal raffronto tra i pagamenti effettuati nel periodo di competenza e l’imposta effettivamente dovuta a seguito della dichiarazione, emergano versamenti inferiori rispetto a quelli dovuti, il contribuente verserà a saldo la maggiore accisa;
  • nel caso opposto (i.e. nell’ipotesi in cui l’imposta dovuta sia inferiore a quanto già pagato tramite acconti mensili), invece, emerge un credito che il contribuente potrà alternativamente chiedere a rimborso o utilizzare a compensazione nei versamenti periodici in acconto dovuti per le successive annualità.

Anche alla luce del quadro normativo sopra accennato, dunque, la società ha impugnato il diniego osservando come, a ben vedere, il credito da eccedenza di versamento maturato nel 2016 fosse stato fatto oggetto di parziale utilizzo nel prosieguo dell’attività d’impresa tramite compensazione in sede di versamento dei ratei successivi. A sostegno della legittimità della propria condotta la ricorrente ha invocato un orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione, recentemente corroborato dalla sentenza n. 20629 del 31 luglio 2019, secondo cui “ogni credito annualmente formatosi va a confluire nel nuovo saldo creditorio, che va a costituire un nuovo credito rispetto a quelli precedentemente maturati; credito che si protrae o fino all’esaurimento del credito ovvero fino alla definizione del rapporto tributario e dunque fino alla presentazione dell’ultima dichiarazione di consumo, da cui decorre il termine biennale per la presentazione dell’istanza di rimborso poiché identifica il momento di definitivo consolidamento del credito sorto per effetto dei maggiori pregressi pagamenti”.

L’Agenzia delle Dogane, tuttavia, facendo leva su un parere rilasciato dall’Avvocatura Generale dello Stato, si è opposta alla tesi della contribuente sostenendo che “il parziale utilizzo di un credito in compensazione non rinnova la decorrenza del termine di decadenza del rimborso per il credito residuo”. Pertanto, richiamando un più datato e contrario orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha ribadito la propria posizione in ordine all’intercorsa decadenza dal predetto termine biennale, nel caso di specie decorrente – a suo giudizio – dal momento della presentazione della dichiarazione annuale.

2.         Con la pronuncia in commento, la diciannovesima sezione della Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha accolto la tesi prospettata dalla ricorrente, statuendo chiaramente nel senso che il dies a quo del termine biennale previsto dall’art. 14 del TUA dev’essere individuato non nel momento della presentazione della singola dichiarazione annuale, bensì nella data dell’ultima dichiarazione presentata all’atto della cessazione dell’attività di distribuzione in uno specifico ambito provinciale.

La motivazione offerta dalla Commissione, oltre ad essere conforme al più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, appare di peculiare interesse per il particolare sforzo profuso nella disamina delle dinamiche proprie al mercato di appartenenza della ricorrente.

Secondo i Giudici milanesi, anzitutto, le disposizioni fin qui invocate (i.e. gli articoli 14 e 26 del TUA) devono essere interpretate “secondo razionalità e buon senso”, in quanto “pretendere di far decorrere il termine biennale prescrizionale per esercitare il diritto al rimborso dalla presentazione di ogni singola dichiarazione annuale di consumo equivale a disconoscere le esigenze gestionali”.

Il meccanismo di calcolo dei versamenti di cui al citato art. 26, che prevede la corresponsione di acconti mensili sulla base dell’importo globalmente dichiarato per l’annualità antecedente, comporta come fisiologica necessità la formazione di periodiche posizioni creditorie in caso di progressiva riduzione dell’attività d’impresa. Ma, finché l’attività prosegue, il credito formatosi nell’anno precedente non può che enucleare il saldo creditorio di apertura per l’annualità successiva: “credito da spendere nell’immediato in compensazione degli ulteriori importi dovuti per l’anno corrente”.

Pertanto, precisa il Collegio, è illogica la diversa soluzione prospettata dall’Ufficio che, effettuando un’interpretazione restrittiva dell’art. 14 del TUA, giunge alla conclusione per cui “ogni azienda distributrice di gas sarebbe indotta, subito dopo la presentazione della dichiarazione annuale, a chiedere il rimborso del credito esposto in dichiarazione.” Tale soluzione appare ancor più irrazionale in quanto, secondo la ratio argomentativa della sentenza, “comporterebbe tensione finanziaria perché, essendo stato richiesto a rimborso, il credito maturato non potrà più essere portato in compensazione delle rate mensili a scadere. Quindi occorrerà procedere al pagamento diretto. Nel contempo si genera un aggravio amministrativo presso l’azienda e presso gli Uffici Doganali che dovranno evadere tante richieste di rimborso quanti sono gli operatori che temono la contrazione del proprio volume di affari.

Al contrario, “appare più logico, e funzionale ad un corretto rapporto con l’Erario, chiedere il rimborso del credito soltanto quando questo si sarà “cristallizzato” per effetto della cessazione dell’attività distributiva in una specifica Provincia.” Rileva infatti la Commissione come sul punto si innesti un ulteriore profilo problematico, in quanto, “per esigenze degli Uffici Doganali”, le società distributrici di gas naturale hanno l’obbligo di accendere un conto per ogni ambito provinciale di riferimento; al contempo, però, non è loro consentito traslare il credito da un conto provinciale ad un altro, nonostante la coincidenza soggettiva tra debitori (società distributrici) e creditore (Agenzia delle Dogane), con la conseguenza che "secondo l’interpretazione dell’Ufficio, il credito non potrebbe essere neanche utilizzato “per giroconto”, ovvero trasferito su altro conto provinciale dello stesso contribuente”. È chiaro che in tale evenienza si verrebbe a determinare, giocoforza, la perdita del credito vantato verso l’Erario.  

Sulla scorta della motivazione fin qui sintetizzata, dunque, e facendo espresso ed esteso richiamo alla sentenza n. 20629/2019 della Suprema Corte invocata dalla ricorrente, la Commissione Provinciale milanese ha accolto le doglianze di parte attrice, atteso che “se l’accreditamento dell’eccedenza dell’anno precedente a valere per l’anno successivo è fissato per legge, soltanto nel momento in cui viene meno l’obbligo di versare mensilmente (per cessazione dell’attività distributiva [nello specifico ambito provinciale] ) si cristallizza il credito e se ne può chiedere il rimborso”.

La sentenza in commento, dunque, appare rilevante in quanto aderisce a un orientamento giurisprudenziale (da ritenersi ormai consolidato, seppur di recente formazione) volto a offrire una lettura meno dogmatica dell’art. 14 del TUA, ed è altresì pregevole nella misura in cui presta particolare attenzione alla struttura ed alle esigenze proprie del mercato di riferimento e dei soggetti che in esso operano. Come osservato dal Collegio milanese, infatti, accettando la lettura più restrittiva pretesa dall’Agenzia delle Dogane i soggetti passivi sarebbero tenuti a richiedere, di volta in volta, il rimborso del credito venutosi a formare anno per anno: ma ciò – concludono i Giudici – “andrebbe in contrasto con l’art. 26 del TUA, determinando un vero e proprio “cortocircuito amministrativo”.

Si segnala, da ultimo, come nello stesso solco interpretativo si collochi la recentissima sentenza n. 184 del 26 maggio 2021 resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Varese, che “in linea con la più recente giurisprudenza di merito e di legittimità[3] che supera quella precedente, ritiene che, in base al particolare sistema del calcolo delle accise sull’energia e contrariamente a quanto sostenuto dall’ufficio in base a giurisprudenza ormai datata, i crediti maturati non rimangano autonomi perché vengono automaticamente riportati e conteggiati, per legge, nell’annualità successiva dando vita a un nuovo credito; solo quando il rapporto termina e non è più possibile portare in detrazione il proprio credito si può procedere alla richiesta di rimborso, entro il biennio successivo; non è infatti possibile chiedere rimborsi prima di quel momento”.

F.N.


[1] La norma dispone come segue: “L’accertamento dell’accisa dovuta viene effettuata sulla base di dichiarazioni annuali, contenenti tutti gli elementi necessari per la determinazione del debito di imposta, che sono presentate dai soggetti obbligati entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce. […] Il pagamento dell’accisa è effettuato in rate di acconto mensili, da versare entro la fine di ciascun mese, calcolata sulla base dei consumi dell’anno precedente. Il versamento a conguaglio è effettuato entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui si riferisce. Le somme eventualmente versate in eccedenza all’imposta dovuta sono detratte dai successivi versamenti di acconto […]”.

[2] Modalità di versamento pressoché identiche si rinvengono nel sistema di pagamento dell’accisa sull’energia elettrica, regolato dall’art. 56 del TUA.

[3] Il Collegio richiama espressamente le seguenti pronunce: Cass. civ., Sez. V, sent. 6 ottobre 2020, n. 21372; id., ord. 22 settembre 2020, n. 19770; id., ord. 3 marzo 2020 n. 5808.

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