Co-branding: come creare un’opportunità di business valida e vantaggiosa, tenendo conto degli aspetti legali

7 Novembre 2023

Si sente parlare spesso di co-branding (o capsule collection), ovvero di importanti collaborazioni commerciali tra brand che operano sia in uno specifico settore merceologico, in particolare nel settore della moda, ma anche appartenenti a settori molto diversi fra loro, quale il design, la tecnologia o il food&beverage.

Ma di cosa si tratta nello specifico? E quali sono i principali aspetti legali da considerare?

Definizione

Il co-branding può essere definito come una strategia di marketing molto diffusa tra le aziende con lo scopo fondamentale di collegare due o più marchi per creare e beneficiare di un valore maggiore di quello che avrebbero se considerati singolarmente.

Tale strategia può assumere diverse forme: da semplici collaborazioni a livello comunicativo e di marketing ad accordi commerciali più complessi. In alcuni casi, può portare alla creazione e all’introduzione nel mercato di nuovi prodotti o linee di prodotto così come alla creazione di un’offerta percepita come nuova dal consumatore; può prevedere altresì un utilizzo congiunto dei marchi (i c.d. “prodotti co-brandizzati”) o la creazione di un nuovo marchio, quale combinazione dei marchi coinvolti a monte.

Il co-branding costituisce, quindi, una delle risposte alle esigenze di mercato, di concorrenza e di sviluppo delle aziende e può essere funzionale per il raggiungimento di diversi obiettivi. Tra i più importanti, ad esempio:

  • incrementare la brand awareness, conquistando nuovi segmenti di clientela e ampliando la notorietà dei brand delle aziende coinvolte sul mercato. La notorietà, infatti, è una caratteristica che conferisce al marchio una tutela più ampia (ovvero rafforzata) rispetto a quella derivante esclusivamente dal fatto di avere un diritto registrato;
  • rafforzare la brand reputation, contribuendo a migliorare la percezione dei brand delle aziende coinvolte da parte dei consumatori;
  • differenziarsi dai competitor sul mercato;
  • incrementare la soddisfazione dei clienti;
  • attivare nuovi canali di vendita, consentendo alle aziende coinvolte di accedere a nuovi canali di vendita o di raggiungere nuovi mercati;
  • aumentare la propria base clienti attraverso il coinvolgimento della clientela di un altro brand.

I diversi obiettivi possono essere conseguiti grazie alla flessibilità intrinseca del fenomeno (e del contratto) in esame e, in ragione degli obiettivi da perseguire, è possibile individuare la tipologia di co-branding più adatta.

Risulta, però, essenziale tenere a mente gli obiettivi stabiliti dalle parti anche nella stesura del contratto di co-branding, ponendo particolare attenzione alla definizione accurata e chiara del progetto e delineando con precisione gli obblighi e le responsabilità delle parti.

Al fine di svolgere un’adeguata valutazione complessiva del progetto, occorre, inoltre, considerare anche i vantaggi e i rischi propri della tipologia di collaborazione eventualmente considerata. Il contratto di co-branding, infatti, come diremo meglio nel proseguo, è caratterizzato da una significativa alea di rischio, in quanto coinvolge, necessariamente, componenti sensibili dell’attività di impresa, quali la reputazione, il know-how e i segni distintivi.

Principali tipologie di co-branding

Tra le diverse tipologie di co-branding, è possibile individuare:

  1. il “co-branding funzionale”:

si tratta di una forma intensa di collaborazione che prevede, in linea generale, che due o più aziende cooperino per creare un nuovo prodotto o servizio progettato per sfruttare le competenze e le risorse di ciascuna azienda, al fine di creare un'offerta unica sul mercato e attrattiva per i consumatori. Alcuni esempi noti includono la partnership tra Coca-Cola e NutraSweet, dalla quale è nata la Diet Coke, e la partnership tra Apple e Mastercard che ha dato vita all’applicazione Apple Pay.

In termini di vantaggi, tale strategia consente di aumentare la visibilità e raggiungere un nuovo pubblico; vendere più prodotti o servizi, sfruttando le competenze e le risorse delle aziende coinvolte, nonché creare un'offerta unica e differenziata. Dall’altro lato, però, tale tipologia di co-branding potrebbe comportare diversi rischi, tra i quali: il rischio di danneggiamento del marchio o il rischio di confusione nei consumatori derivante dalla co-brandizzazione.

  • il “co-branding simbolico”:

forse la tipologia di co-branding più diffusa, soprattutto nel settore della moda e nel settore automobilistico, il co-branding simbolico consiste nell’associazione al marchio ospitante, responsabile della produzione del prodotto, di un secondo marchio “ospitato” per sfruttarne il valore evocativo e beneficiarne del potere attrattivo, della sua reputazione e del suo prestigio. In altre parole, tale fattispecie ricorre quando una marca viene accordata a quella di altro partner, con il quale però in linea di principio non ha alcun legame merceologico, allo scopo di giovare delle valenze positive di cui gode la marca invitata. Tra i casi più noti di co-branding simbolico può essere citato "Supreme x Louis Vuitton”.

Questa strategia presenta sicuramente notevoli vantaggi, tra cui l'aumento della brand awareness nonché il rafforzamento della brand reputation. Tuttavia, va notato che anche questa forma di co-branding, sebbene meno dispendiosa in termini finanziari, comporta dei rischi, principalmente legati alla scelta del marchio con cui associarsi. In particolare, si deve considerare il rischio di diluizione del marchio che può portare a una perdita della sua capacità distintiva non essendo più in grado di evocare un prodotto specifico. Allo stesso modo, potrebbe crearsi un rischio di una mutua dipendenza tra i marchi coinvolti, il che potrebbe avere conseguenze negative a seguito della cessazione della collaborazione.

  • il “product-based co-branding”:

anche il product-based co-branding costituisce una forma di cooperazione intensa e prevede che due o più aziende collaborino, attraverso strategie di marketing congiunto, per la commercializzazione di un prodotto o servizio esistente. La collaborazione può essere svolta in vari modi, quali, ad esempio, (i) combinando i loro loghi e/o nomi su un prodotto o servizio; (ii) utilizzando i prodotti o servizi dell'altro brand come mezzo per commercializzare il proprio marchio; (iii) creando un prodotto o servizio completamente nuovo che combina le caratteristiche e i benefici di entrambi i marchi. Un esempio di product-based co-branding è la partnership tra Nike e Apple per commercializzare l'Apple Watch Nike+. Questa partnership è stata un successo perché ha permesso a Nike di raggiungere un nuovo pubblico, quello degli utenti di Apple Watch, e ha permesso ad Apple di migliorare l'esperienza di fitness degli utenti del suo smartwatch.

Il product-based co-branding presenta, quindi, diverse somiglianze con il co-branding funzionale soprattutto in termini di vantaggi per le aziende coinvolte (aumento della visibilità e consapevolezza del marchio, aumento delle vendite e creazione di un’offerta unica e attrattiva) e di rischi (rischio di danneggiamento del marchio, rischio di confusione nei consumatori e costi elevati). Tuttavia, ci sono alcune differenze che si riflettono, in particolare, nelle caratteristiche delle due strategie: il co-branding funzionale richiede un livello di collaborazione più profondo tra le aziende coinvolte, poiché i partner devono lavorare insieme per sviluppare un prodotto o servizio completamente nuovo; il product-based co-branding, invece, può essere implementato in modo più semplice, poiché i partner possono semplicemente combinare i loro loghi o nomi su un prodotto o servizio esistente.

  • il “distribution-based co-branding”:

questa tipologia di co-branding si realizza quando i partner collaborano per distribuire insieme prodotti o servizi, sfruttando la loro rete di distribuzione comune o condivisa. In questo tipo di collaborazione, le aziende coinvolte mettono in comune le risorse logistiche, le infrastrutture di distribuzione o la rete di vendita al dettaglio per raggiungere obiettivi di mercato comuni. Questa strategia può portare a vantaggi significativi per tutte le parti coinvolte, soprattutto in termini di ottimizzazione di spazi e profitti e di estensione nel mercato.

Un possibile limite di questa forma di strategia risiede nella richiesta di identificare marchi che siano complementari o coerenti con l'immagine reciproca, affinché si possa massimizzare il beneficio derivante dalla sinergia tra i marchi.

  • il “communication-based co-branding”:

in questo caso, si tratta di una strategia di marketing in cui le aziende collaborano per condividere messaggi di marketing attraverso canali comuni, mirando a raggiungere un pubblico più ampio e amplificare l'impatto del messaggio. Questa strategia richiede coerenza nel messaggio e può includere l'uso congiunto di piattaforme di comunicazione, consentendo alle aziende di beneficiare reciprocamente dall'esposizione e dall'efficacia del co-branding nella comunicazione.

  • il co-branding con persone celebri

si tratta di un contratto di co-branding che può essere stipulato tra il titolare di un marchio e una persona celebre, ad esempio nel mondo della moda, del cinema o della musica. Tra i più noti possono essere ricordati Yeezy, la linea di abbigliamento di lusso creata grazie all’accordo di collaborazione tra Adidas e Kanye West; Tommy x Gigi, dove una linea di prodotti di moda è stata creata dal brand utilizzando le caratteristiche stilistiche e di gusto proprie della modella.

In questi casi, oltre alla necessità di individuare un personaggio compatibile con la linea del marchio, occorre prestare attenzione al rapporto che può crearsi con lo stesso, in quanto il brand risulterà strettamente associato alla reputazione e alla fama della persona celebre scelta che, ove soggetta a “scandali” o contestazioni, potrebbe determinare un danno all’immagine anche del brand allo stesso associato.

  • ulteriori esempi di co-branding”:

Da ultimo, anche se non rappresenta un’autonoma categoria contrattuale, occorre richiamare all’attenzione quei casi – destinati ad aumentare sempre più con lo sviluppo tecnologico – nell’ambito dei quali si ricorre all’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per raggiungere vari obiettivi prefissatesi.

Tra gli esempi più noti si possono citare i casi di partnership tra:

  • Nike e Apple che hanno collaborato per creare una versione speciale dell'Air Max 1 con il chip Nike Adapt, che consente di regolare la calzata in modo personalizzato tramite un'app per smartphone. L'intelligenza artificiale, in questo caso, è stata utilizzata per sviluppare il chip e l'app, nonché per testare la compatibilità tra i due prodotti;
  • Coca-Cola e McDonald's che hanno collaborato per creare un'esperienza di realtà aumentata che consente ai clienti di vedere i loro prodotti preferiti in 3D. In questo caso, l'intelligenza artificiale è stata utilizzata per creare i modelli 3D dei prodotti e per rendere l'esperienza più coinvolgente;
  • H&M e Google che hanno promosso un'iniziativa di co-branding basata sull'intelligenza artificiale che consente ai clienti di utilizzare l’IA per trovare i prodotti che corrispondono al loro stile e alle loro esigenze.

In questi casi, l'intelligenza artificiale è stata utilizzata per migliorare l'esperienza del cliente e per rendere i prodotti più personalizzati e coinvolgenti, ma numerose sono le finalità che possono essere perseguite (ad esempio, per analizzare i dati sui clienti e sui prodotti per identificare aziende che potrebbero essere complementari; per sviluppare idee creative per generare nuovi prodotti, servizi o campagne di marketing; o per misurare il successo di un'iniziativa di co-branding, raccogliendo e rielaborando informazioni sui dati di vendita, sui dati sui dei social media e sui dati relativi al comportamento dei clienti per misurare l'impatto di un'iniziativa di co-branding).

Ma quali sono i profili giuridici rilevanti?

Dal punto di vista giuridico, il contratto di co-branding rappresenta un contratto atipico: un contratto di licenza incrociata e bilaterale con cui viene disciplinato principalmente l’utilizzo congiunto dei segni distintivi delle aziende coinvolte.

Si tratta quindi di una collaborazione regolamentata, che consente a due o più marchi di presentarsi contestualmente sul mercato, nell’ambito della quale è prevista, di norma, la presenza di un marchio c.d. “ospitante o accogliente” e di un marchio definito “invitato o secondario”.

Tale tipologia di contratto, tuttavia, è caratterizzata da una significativa alea di rischio, in quanto coinvolge, necessariamente, componenti sensibili dell’attività di impresa, quali i segni distintivi e gli altri diritti di proprietà intellettuale e industriale, il know-how, le informazioni riservate, l’immagine e la reputazione dei marchi e dell’azienda, i canali di comunicazione e di distribuzione, eventuali dati personali trattati etc.

Risulta, quindi, fondamentale disciplinare preventivamente e nel dettaglio, attraverso un contratto ad hoc, l’oggetto del contratto, gli obblighi e gli impegni reciproci, che, come anticipato, dipenderanno dagli obiettivi che le parti si sono poste di raggiungere così come dalla tipologia di collaborazione prescelta.

Particolare attenzione dovrà essere prestata altresì alle misure poste a tutela dei diritti di proprietà intellettuale e industriale dei soggetti coinvolti.

In particolare, il contratto di co-branding dovrà definire, tra gli aspetti più rilevanti:

  1. il perimetro di utilizzo delle licenze nel rispetto dei limiti e delle facoltà previste dalla legge di riferimento, definendo nel dettaglio i segni concessi in uso ed i prodotti/attività cui associare tali segni distintivi con quelli dell’altra parte e le caratteristiche della licenza stessa, ovvero se concessa in misura limitata nel tempo e circoscritta alla specifica iniziativa commerciale;
  2. l’esistenza di eventuali esclusive merceologiche, territoriali o di settore a favore di una o di entrambe le parti, avendo cura di individuare, ove l’esclusiva sia merceologica, un eventuale elenco dei brand ritenuti direttamente o indirettamente concorrenziali;
  3. la durata della collaborazione in funzione del raggiungimento dello scopo condiviso;
  4. la responsabilità delle parti coinvolte, e ove la collaborazione preveda la creazione di un nuovo prodotto o servizio, eventuali profili di responsabilità da prodotto difettoso;
  5. eventuali impegni di non concorrenza, avendo cura di descrivere in modo puntuale l'attività per determinare "i limiti" della clausola di non concorrenza; il territorio, la durata e tutti gli ulteriori profili necessari affinché l’impegno non risultino nullo;
  6. le modalità e le misure di tutela dei segni distintivi e degli altri diritti di proprietà industriale e intellettuale, prevedendo, a titolo esemplificativo e non esaustivo, specifiche clausole volte a prevedere obblighi di segnalazione e collaborazione tra le parti in caso di possibili casi di violazione e/o contraffazione dei segni distintivi nonché una specifica clausola di riservatezza volta a tutelare tutte le informazioni riservate delle parti coinvolte e il loro know how;
  7. le misure a protezione dei consumatori: il contratto dovrà garantire che i consumatori siano protetti da eventuali frodi o pratiche commerciali scorrette;
  8. le finalità e le modalità di impiego di tutela dei canali di comunicazione, pubblicitari e di distribuzione;
  9. i profili legali (e i rischi) connessi allo sviluppo o all’utilizzo di sistemi di IA nell’ambito dell’iniziativa nonché le rispettive responsabilità e i diversi diritti delle parti rispetto ai contenuti generati (tra cui, a mero titolo esemplificativo, i diritti in materia di proprietà intellettuale e industriale, i diritti in materia di protezione dei dati personali e privacy, i diritti di riservatezza), tenendo altresì in considerazione gli sviluppi della normativa di riferimento – che ad oggi non fornisce un quadro chiaro e ben definito – e, in particolare, la Proposta di Regolamento nota come “AI Act”, la Proposta di Direttiva relativa all'adeguamento delle norme in materia di responsabilità civile extracontrattuale all'intelligenza artificiale e la Proposta di Direttiva sulla responsabilità per danno da prodotto difettoso.

Inoltre, occorre ricordare che alcune tipologie di contratti di co-branding comportano necessariamente un trattamento dei dati personali di clienti, dei dipendenti e di altri soggetti. Pertanto, sarà importante che le parti del contratto rispettino gli adempimenti previsti dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (c.d. “GDPR”), e che valutino quali strumenti contrattuali sia necessario adottare a tal fine. Ad esempio:

  • potrebbe risultare necessario dover stipulare un accordo di contitolarità ai sensi dell’art. 26 del GDPR, volto a disciplinare le rispettive responsabilità delle parti, la base o le basi giuridiche per il trattamento dei dati personali, le finalità del trattamento connesse all’iniziativa di co-branding, le categorie di dati personali trattati, i diritti degli interessati e le misure di sicurezza adottate;
  • concordare comunque un piano di gestione dei dati personali che definisca le modalità di raccolta, conservazione, utilizzo e cancellazione dei dati personali;
  • formare adeguatamente il personale coinvolto nel trattamento dei dati personali sulle misure, i limiti e le responsabilità connesse al trattamento dei dati che verrà svolto.

Infine, in considerazione del fatto che i soggetti coinvolti corrispondono, molto spesso, a multinazionali, sarà necessario svolgere adeguate valutazioni in merito all’individuazione della legge applicabile ai contratti, nonché alla giurisdizione dinanzi a cui proporre azioni legali in caso di inadempimento alle obbligazioni contrattuali.

Conclusione

In conclusione, il co-branding può rappresentare indubbiamente una strategia di marketing potente e versatile in grado di consentire alle aziende di collegarsi e beneficiare reciprocamente dei valori e delle risorse dei marchi coinvolti. Per sfruttarne appieno il potenziale e mitigare i rischi associati è, tuttavia, essenziale prestare particolare attenzione ai dettagli nel processo di pianificazione e nell'elaborazione del contratto di co-branding.

Le aziende dovrebbero, infatti, individuare e valutare accuratamente gli obiettivi della collaborazione (ad esempio, l'aumento della visibilità del marchio, il raggiungimento di nuovi segmenti di clientela, la creazione di offerte uniche e l'espansione dei canali di vendita etc.), nonché definire contrattualmente, nel modo più chiaro possibile, non solo gli obblighi, le responsabilità e le limitazioni di ciascuna parte coinvolta, ma anche gli aspetti connessi alla protezione dei diritti di proprietà intellettuale, alla gestione e protezione dei dati personali eventualmente trattati, così come l'implementazione di misure di sicurezza e di rimedi per eventuali situazioni di crisi che potrebbero emergere nel corso dell’implementazione della collaborazione.

Le aziende dovrebbero imparare, infine, dagli esempi di successo nel settore del co-branding, ma allo stesso tempo essere consapevoli dei rischi e delle sfide che potrebbero incontrare. Con una pianificazione attenta, una comprensione approfondita delle esigenze delle parti coinvolte e una collaborazione legale esperta, si possono creare contratti di co-branding che consentano di perseguire gli obiettivi di business prefissatisi, ma al tempo stesso, in grado di tutelare  la reputazione dei marchi coinvolti e minimizzare i rischi legali connessi.

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