La sicurezza della supply chain non è più solo una buona prassi: con l’entrata in vigore della Direttiva (UE) 2022/2555 (“Direttiva NIS 2”), recepita in Italia dal D.Lgs. 138/2024, è diventata un obbligo giuridico preciso per molte imprese. Ma c’è un equivoco che rischia di indebolire l’approccio delle aziende: pensare che unicamente i soggetti essenziali e importanti, rientrando nel perimetro di applicazione della normativa, debbano conformarsi agli obblighi ivi previsti. Il vero nodo è diverso: indirettamente, con una sorta di effetto a cascata, anche i fornitori dei soggetti essenziali e importanti dovranno adottare misure adeguate a dimostrare la compliance agli standard di cybersicurezza richiesti dai loro clienti NIS. È quindi fondamentale interrogarsi sul come trasformare questi nuovi obblighi in una leva strategica per rafforzare la resilienza aziendale e accrescere la propria credibilità sul mercato. Vediamo come farlo, partendo dai punti chiave che le aziende devono conoscere e gestire. 1. Oltre l’obbligo: gestire i fornitori come anelli critici della propria resilienza La NIS 2 impone alle organizzazioni essenziali e importanti di garantire un livello di sicurezza adeguato lungo tutta la supply chain. Non basta più proteggere la propria rete: occorre estendere il controllo ai fornitori. Ma cosa significa, in pratica? Significa valutare: In questo quadro, il Regolamento di esecuzione (UE) 2024/2690 (il “Regolamento”)[1] e la Guida tecnica ENISA (la “Guida”) offrono un metodo concreto per tradurre questi principi in azioni pratiche. Cosa fare subito: 2. Dalla compliance alla strategia: come impostare una politica di sicurezza efficace La compliance non è (solo) un esercizio documentale. Secondo il Regolamento, ogni organizzazione deve adottare una politica di sicurezza della supply chain che regoli non solo le relazioni contrattuali, ma anche i criteri di scelta e monitoraggio dei fornitori. Una buona politica di sicurezza deve: Il consiglio pratico: Non creare un documento statico, ma costruire un modello operativo che permetta di aggiornare e adattare la politica di sicurezza in funzione dell’evoluzione delle minacce e del contesto operativo dei fornitori. 3. Clausole contrattuali: non semplici obblighi, ma strumenti di governo del rischio I contratti con i fornitori diventano il primo strumento di gestione dei rischi cyber lungo la catena di fornitura. Il Regolamento richiede di inserire clausole di sicurezza ben precise. Ma attenzione: non si tratta di appesantire i contratti con oneri generici. Le clausole devono essere: Checklist di partenza: 4. L’effetto a cascata: cosa cambia per i fornitori Un aspetto spesso sottovalutato è che l’effetto della NIS 2 si propaga lungo tutta la supply chain. Non solo i soggetti essenziali e importanti, ma anche i loro fornitori devono adeguarsi. Questo significa che tutti i fornitori, comprese le PMI, che lavorano con aziende NIS dovranno: Chi si adeguerà in tempo, trasformando la compliance in qualità percepita, avrà un vantaggio competitivo diretto. Conclusioni: la cybersecurity come leva strategica La conformità al Decreto NIS 2 non è solo un adempimento. È una cartina di tornasole della maturità organizzativa e un elemento distintivo per chi vuole essere percepito come partner affidabile e resiliente. Investire ora in una cybersecurity di filiera non significa solo evitare sanzioni: significa diventare protagonisti di un mercato sempre più attento ai rischi digitali. [1] Si segnala che il Regolamento trova applicazione diretta nei confronti di specifiche tipologie di operatori (tra cui i fornitori di servizi DNS, registri di nomi di dominio di primo livello, cloud computing, data center, piattaforme di marketplace online, motori di ricerca e social network).